Quando abitavo nel Chianti andavo a Firenze solo per insegnare e visitare i musei.
E’ stato allora che mi sono accorto che noi artisti siamo come delle spugne: prendiamo sempre da quello che ci troviamo ad accostare.
Dalla letteratura, da sempre, ho appreso quante sfaccettature possa avere un testo narrativo, quanti modi ci siano per raccontare una storia.
Il mio lavoro è come un romanzo vero e proprio, un diario di viaggio personale ed universale, una straordinaria fiaba per chi vuole sognare.
Con i miei pennelli, per una sorta di capriccio alchemico, apro sigilli, spalanco porte di mondi fantastici e con umorismo e sentimento mi applico come un cartografo medievale e soprattutto mi sembra di leggere un libro, parole in immagini, laddove le parole si limitano invece ai pochi didascalici, enigmatici e visionari titoli delle opere.
Il mio lavoro è un libro aperto ad ogni interpretazione, che con poetica ironia segue la ferrea logica della casualità, col significato che s’insinua tra le immagini, scivola via, per poi comparire all’improvviso, misterioso e limpido: immaginifiche dame, personaggi di fiabe mai scritte, pigre maschere obese, animali, oggetti magici e comuni, culture e riti dimenticati, simili ai secoli che furono, o a quelli che dovranno venire.
Fantasia estrema, nell’esplosività delle forme.